Siamo arrivati a Leverogne per caso. Una foto dell’ospizio, con le facciate ancora coperte di vividi affreschi tardo quattrocenteschi, ha ridestato il nostro istinto di scopritori di piccoli tesori nascosti.
Ed eccoci qui, al principio della primavera, ad esplorare questa micro frazione dove il tempo sembra essersi fermato.
Sulla via principale, che attraversa il borgo antico, sono ancora visibili sull’intonaco degli edifici le vecchie insegne sbiadite dei commestibili, del caffè e, in una via traversa, quella della trattoria. Proseguendo nel fitto del silenzioso abitato, salta subito all’occhio una particolarità architettonica ricorrente, la presenza di arcate. La Coo è una corte coperta, ideata per poter circolare al riparo dalle intemperie, facilitando il passaggio da un lato all’altro della casa. A causa dello sviluppo demografico che interessò i villaggi di Arvier nel corso del XIX secolo, numerose coo vennero inoltre coperte in un secondo momento per guadagnare spazi abitativi. Le Coo portano spesso il nome della famiglia che hanno ospitato per lungo tempo (Sage, Socquier, Costel). La denominazione di alcuni passaggi coperti rimanda anche a nomi propri o diminutivi.

Se oggi il villaggio pare semiabbandonato, ai tempi dei romani, grazie alla sua posizione strategica lungo l’itinerario verso l’Alpe Graia, Leverogne fu una vivace mansio, luogo di sosta molto frequentato dai viandanti di passaggio. Nei secoli, il corso della Dora della Valgrisenche, in particolare in corrispondenza dell’abitato di Leverogne, era costellato di artifici che sfruttavano la forza dell’acqua, tre mulini per i cereali, due forge, alcune fonderie e una segheria. In tempi più recenti, la frazione possedeva due forni comunitari e una latteria consortile, con 700 litri di latte prodotti al giorno. La latteria ha cessato la sua attività negli anni ’70 del ‘900, portando al drastico declino dell’allevamento di mucche nel comune e a un progressivo spopolamento.

Da un punto di visto urbanistico, l’antico borgo di Leverogne si sviluppa intorno al ponte romano, ricostruito nel 1690 dopo la distruzione ad opera delle milizie Francesi. Sono ancora visibili, sulle due sponde in muratura, gli incavi in cui erano alloggiati i travi in legno per il sostegno del ponte, uno appena sopra la cappella, a monte del ponte attuale, l’altro inglobato un edificio moderno.
A breve distanza dal suggestivo ponte, la cappella, fondata nel 1365 e ricostruita sul finire del ‘600, presenta affreschi in facciata raffiguranti San Grato, Santa Barbara e San Gottardo, quest’ultimo patrono del paese, commemorato il 4 maggio. Il campanile slanciato fu aggiunto nel 1788.

La vera chicca è l’ospizio, fondato nel 1368, anno in cui per volontà testamentaria Pierre Socquier lasciò la sua casa perché venisse adibita a rifugio per pellegrini e indigenti. Nell’edificio erano a disposizione due letti e agli ospiti era garantito anche il vitto.
Malgrado altri lasciti e l’affidamento dell’ospizio a un rettore, la struttura venne chiusa nel 1782 (abolita dalla reale delegazione) per le condizioni critiche in cui versava.
Degli affreschi che ricoprivano le due facciate visibili, risalenti al 1497, restano quelli della facciata sud, che rappresentano le opere di Misericordia, e solo qualche lacerto sulla facciata ovest.

Nel vangelo le opere di misericordia corporale, che si sommano a quelle di misericordia spirituale, atte a trovare il perdono e avere accesso al regno dei cieli, sono sette:
1 – Dar da mangiare agli affamati, 2 – Dar da bere agli assetati, 3 – Vestire gli ignudi, 4 – Alloggiare i pellegrini, 5 – Visitare gli infermi, 6 – Visitare i carcerati, 7 – Seppellire i morti.
Già soltanto nell’ospizio tre di queste opere sono espletate, garantendo al generoso Socquier un posto comodo nel regno dei Cieli. Gli affreschi sulla facciata riprendono le opere di Misericordia e al contempo i setti peccati capitali, contrapposti alle virtù cardinali. Sulla facciata sud, affacciata sulla strada principale, sono ancora chiaramente visibili sia i riquadri nella fila superiore che raffigurano la visita agli infermi e ai carcerati, sia parti di quella inferiore, raffiguranti invidia (contra invidia Caritas), lussuria (contra Luxuria castitas) e ira (contra ira temperantia). Sulla facciata ovest invece sono visibili i due riquadri raffiguranti la sepoltura dei morti e una tavola imbandita, per nutrire gli affamati.
Scoprire dipinti del ‘500 in un delizioso villaggio pedemontano non è una cosa che capita tutti i giorni. Noi ne siamo usciti entusiasti!

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