C’era una volta, secoli e secoli fa, un ghiacciaio imponente che dominava una intera vallata. Era un ghiacciaio capriccioso, con la sua mole maestosa di ghiacci sospesa come una spada di Damocle su interi villaggi e bastava poco, veramente poco, per turbarne gli equilibri. Un inverno particolarmente nevoso, ad esempio, ed ecco le copiose acque di scioglimento far tracimare il lago appena al di sotto delle sue nevi perenni e scaricare migliaia di metri cubi d’acqua sul fondo valle, facendo esondare il torrente. O un’improvvisa ondata di caldo ed ecco blocchi di ghiaccio staccarsi e una devastante slavina rovinare giù, spazzando via tutto ciò che trovava lungo il suo passaggio.

Il ghiacciaio di cui parliamo è il Rutor, a oggi il sesto per estensione in Italia, e il suo lago, oggi scomparso, il lago di Santa Margherita. Il torrente che esonda distruggendo ponti e strade, devastando campi e abitati, uccidendo uomini e capi di bestiame è la Dora, mentre il fondo valle che abbiamo menzionato può essere identificato con la Valdigne e in particolare con i comuni di La Thuile, proprio ai piedi del ghiacciaio, oltre che di Pré-Saint-Didier, Dailley, La Salle, Derby, Morgex. La furia devastante del ghiacciaio poteva arrivare molto lontano, i regnanti lo sapevano, ma nessuna opera idraulica venne messa in atto per arginarla. Troppo complicate, troppo costose. Non restava che affidarsi a Dio.
Agli inizi del XVII secolo le popolazioni dei villaggi che sorgevano a valle del ghiacciaio vi salirono in processione con le preziose e venerate reliquie di San Grato, vescovo di Aosta nella seconda metà del V secolo e santo protettore di campi e animali dalle calamità naturali, per scongiurare altre devastazioni. E la tradizione proseguì, ogni anno, il 20 luglio, giorno di Santa Margherita, invocata dalle genti di montagna per protezione contro valanghe e slavine.
Nel 1606 ai piedi del Rutor venne persino costruita una cappella votiva dedicata ai santi protettori, Santa Margherita e San Grato, ma nonostante le processioni, le preghiere e le novene il Ghiacciaio non si placava.

Fonti scritte ricordano terribili momenti nella storia della Valdigne, dal 1500 fino al 1864, anno che segna lo svuotamento definitivo del lago e con esso l’ultima alluvione, conseguente alla rottura della diga di ghiaccio.

Le cascate attuali prendono forma proprio a quel tempo, defluendo a valle finalmente libere dall’ostruzione dei ghiacci. In un periodo in cui gli spettacoli della natura erano sommamente apprezzati, le cascate Rutorine non tardarono a destare l’attenzione di viaggiatori e curiosi e vennero costruite infrastrutture per consentire di ammirare al meglio gli spruzzi e i riflessi arcobaleno. Sul terzo salto delle cascate già verso la fine dell’Ottocento, è documentata la presenza di un ponte, in origine voluto dall’Abbé Chanoux, rettore dell’ospizio del colle del Piccolo San Bernardo, oltre che botanico e alpinista, e recentemente ripristinato in occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita delle cascate, dovute allo svuotamento del lago di Santa Margherita (1864-2014). Per l’occasione è stato inaugurato un nuovo panoramico sentiero che consente di effettuare un bel giro ad anello da la Joux, ammirando l’acqua che precipita dall’altro versante della Dora.

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